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Il ministro nomina Sofri. Calabresi lo destituisce

Adriano_Sofri_2014Stavamo aspettando la prova regina, come dicono i criminologi. Cioè la prova dell’avvenuta morte e sepoltura dell’ultimo residuo di garantismo, in questo paese. Ieri la prova è arrivata sotto le spoglie di Adriano Sofri, anzi, più precisamente, della scarica di fuoco scagliata contro di lui dal mondo politico e giornalistico compatto, guidato dal direttore del quotidiano La Stampa, Mario Calabresi.

I fatti sono semplici. Il ministero della Giustizia, diretto dal saggio – ma molto timoroso – onorevole Orlando, ha deciso di realizzare gli ”Stati generali delle carceri”. Questi ”Stati Generali” devono servire a studiare delle riforme che rendano il sistema carcerario italiano – che oggi vive di medioevo – un pochino più moderno e più civile. Sono stati chiamati a partecipare agli ”Stati generali” molte persone, esperti, avvocati, giuristi, giudici, intellettuali e sociologi vari. Poi dalle carceri – dalle celle – si sono levate alcune voci, non irragionevoli, che dicevano: forse è il caso che anche i carcerati, cioè i cittadini – gli abitanti – della carceri partecipino a questa discussione, visto che i carcerati, di solito, di carcere un po’ ne sanno.

E’ possibile che il ministro Orlando e il capo di gabinetto Melillo abbiano dato ascolto a questa richiesta quando hanno deciso di chiamare a partecipare a uno dei diciotto tavoli – divisi per temi – che si occuperanno della questione, un intellettuale molto conosciuto in Italia, da circa mezzo secolo, e che le carceri le conosce bene per due ragioni: la prima è che si è sempre occupato con passione del problema; la seconda è che in una cella ha soggiornato per circa sei anni. Accusato di essere il mandante dell’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi.

Sapete tutti di chi sto parlando: di Adriano Sofri, fondatore del gruppo politico ”Lotta Continua” nel ’68, e poi tre anni dopo del quotidiano omonimo, e poi di altri vari giornali, e poi ascoltato consigliere del ministro Martelli, e poi – per lunghi anni – imputato di professione al processo per l’omicidio Calabresi, giudicato – mi pare – quindici volte dai tribunali e dalle corti d’appello e dalla Cassazione (più o meno cinque sentenze a suo favore e dieci contro), condannato in via definitiva a ventidue anni di carcere, dichiaratosi sempre in nocente, uscito di galera nel 2012 per aver scontato più di un terzo della pena e per buona condotta.

Nessuno sa se Sofri sia stato o no il mandate dell’omicidio. Contro di lui c’è solo l’accusa di un pentito, il famoso pentito Marino, il quale si autoaccusò di essere stato il killer del commissario ma – grazie agli sconti di pena – non fece carcere. Marino disse: »Sofri mi disse di sparargli, durante un certo comizio a Pisa, sotto la pioggia». Sofri stresso riconobbe la colpa ”morale”, per avere guidato una campagna politica e di stampa contro Luigi Calabresi, ma rifiutò sempre la responsabilità concreta, cioè negò di avere dato quell’ordine. E oltretutto pare proprio che quel giorno a Pisa non piovesse e dunque che la memoria di Marino fosse un po’ appannata.

Chi era il commissario Calabresi? Era il capo della squadra politica della Questura di Milano nel 1969, quando a piazza Fontana ci fu la strage e le indagini furono subito spinte dai servizi segreti contro gli anarchici che invece non c’entravano niente. Calabresi fu accusato a sua volta di essere stato il responsabile dell’uccisione dell’anarchico Pinelli, gettato dalla finestra della questura di Milano, dopo un interrogatorio guidato da lui, da Calabresi, che però non era nella stanza dalla quale Pinelli fu defenestrato quando il delitto avvenne. E dunque era innocente. Come sia stato ucciso Pinelli e chi ne portasse la responsabilità non si è mai accertato. Un magistrato che indagò – l’allora giovane giudice D’Ambrosio – violentò la lingua italiana e la scienza medica e parlò di ”malore attivo”. Cioè se ne lavò le mani.

Eravamo nei primi anni settanta, anni di inaudite violenze politiche, che venivano sia da parte dello Stato sia da parte della sinistra. E certo ”Lotta Continua” non fu un protagonista secondaria di queste violenze. Tre anni dopo la morte di Pinelli, nel maggio del ’72, il commissario Calabresi, una mattina, salutò la moglie ei suoi tre bambini, uscì di casa e stava per salire sulla sua Fiat 500 per andare al lavoro, in Questura. Si avvicinò un tale e gli sparò a bruciapelo. Lo uccise. Salì su una Fiat 24 dove lo aspettava un complice e scomparve. ”Lotta Continua” esultò per la morte del commissario. Tutti però erano convinti che i colpevoli fossero i servizi segreti, o forse la destra. Fu anche accusato un fascista, che si chiamava Nardi, e poi morì anche lui misteriosamente. Ma per 16 anni, fino al 1988, nessuno scoprì mai niente. Poi Marino un bel giorno di giugno andò dai carabinieri e accusò Sofri, che in quel momento era molto vicino al numero due del del Psi Claudio Martelli, e anche, un po’ , al potentissmo Craxi. Fu un siluro al Psi? Chissà.

Tutto questo è l’antefatto. Il fatto invece è meno complicato: consiste nella rivolta morale che ha unito Maurizio Gasparri e Marco Travaglio, e moltissimi altri politici e giornalisti contro il fatto che Adriano Sofri possa godere di diritti civili e – visto che è un tipo sveglio e istruito – possa collaborare a risolvere il problema della carceri. No – hanno gridato tutti all’unisono – crucifige, crucifige!

Leader della azione di barriera contro Sofri è stato il direttore della Stampa. Il quale – come probabilmente sapete – è il figlio del commissario Calabresi. E in questa occasione ha unificato i suoi due ruoli di potente direttore e potente figlio. Naturalmente nessuno al mondo si sognerebbe di contestare il diritto al dolore di Mario Calabresi, che era un bambinetto di tre anni quando gli uccisero il papà. Non si capisce però cosa c’entri questo dolore con la giustizia italiana. C’entra solo nel momento in cui si stabilisce che in fondo lo Stato di diritto può essere archiviato, può passare nella galleria dei ricordi, e può essere sostituito con una specie di processo popolare permanente, nel quale le regole contano poco, ed eventualmente contano solo le emozioni e comanda chi sa gonfiare queste emozioni, strumentalizzarle, usarle per fare politica.

A Sofri per altro non era stato offerto un incarico retribuito, ma solo chiesta una consulenza. Lui, travolto dalla cagnara sollevata in poche ore, ha deciso immediatamente di rinunciare all’incarico. Continuerà a studiare, a leggere e a scrivere gli articoli che scrive con frequenza sul giornale ”La Repubblica”. Per lui il danno non è grave. E’ più grave, forse, per i carcerati, che perdono una voce amica, e sapiente. Ed è grave per lo stato della nostra società, dove ormai dichiararsi garantisti è pericoloso, è scandaloso, è quasi proibito.

(di  Piero Sansonetti, tratto da Il Garantista del  24.06.2015)