Con la sentenza del 9 maggio 2025 il Tribunale di Foggia ha assolto perchè il fatto non è più previsto dalla Legge come reato un cittadino originario del Burkina Faso imputato del delitto di cui all’art. 7 co 1 del D.L. 28.01.2019 n. 4 convertito dall’art. 1 comma 1 L. 28.03.2019 n. 26 perchè lo stesso, al fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito di cittadinanza, riportava nell’istanza dati non corrispondenti al vero in merito al requisito della residenza da almeno 10 anni di cui gli ultimi 2 in modo continuativo. Il fatto così come contestato al cittadino non comunitario, assistito dagli avv.ti Antonio D’Urso e Stefano Campese, non è più previsto dalla Legge come reato in virtù della sentenza emanata dalla Corte Costituzionale n. 35/25 pubblicata in G.U. il 26.03.2025, che dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, nella parte in cui prevedeva che il beneficiario del reddito di cittadinanza dovesse essere residente in Italia «per almeno 10 anni», anziché prevedere «per almeno 5 anni». A differenza di altre misure, come l’assegno sociale, che la Corte ha ritenuto correlate allo «stabile inserimento dello straniero in Italia, nel senso che la Repubblica con esse ne riconosce e valorizza il concorso al progresso della società, grazie alla partecipazione alla vita di essa in un apprezzabile arco di tempo» (sentenza n. 50 del 2019 e ordinanza n. 29 del 2024), il progetto di inclusione previsto dal Rdc non guarda, come invece le suddette misure, al concorso realizzato nel passato, ma alle chances dell’integrazione futura, mirando alla prospettiva dello stabile inserimento lavorativo e sociale della persona coinvolta. Proprio il termine dei 10 anni di residenza ai fini dell’accesso alla misura è stato ritenuto eccessivamente gravoso dalla Consulta, sostanzialmente un artificio finalizzato esclusivamente a limitare l’accesso alla prestazione ai cittadini stranieri. Ma in realtà particolarmente limitante anche per i cittadini italiani, a cui il requisito poteva, in effetti, precludere la possibilità di trasferirsi a lavorare fuori dal Paese (facendo venir meno in particolare modo il requisito degli ultimi 2 anni di residenza continuativi a partire dal momento della domanda). Da questo punto di vista, pertanto, la normativa sopra richiamata si poneva in netto contrasto con i principi di eguaglianza, di ragionevolezza e proporzionalità di cui all’art. 3 Cost.
