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Patrie galere, anche a Foggia la vergogna è “europea”

Andare in carcere. Senza aver commesso un reato, ma per evitare che se ne commettano. Non è un paradosso, ma la cruda realtà che sta dietro all’esigenza di visitare le patrie galere. I turisti dei diritti, quelli che visitano i luoghi di detenzione, sono persone coraggiose. E radicali. In tutti i sensi. Lo scorso 28 aprile, l’associazione Mariateresa Di Lascia, nelle persone del segretario Norberto Guerriero e di Ivana De Leo (accompagnati dal consigliere regionale Giandiego Gatta), si è recata al carcere di Foggia per una visita ai detenuti e agli agenti di custodia. Intanto il 28 maggio scadrà il termine ultimo concesso dalla Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo) all’Italia, dopo la sentenza Torreggiani, per porre fine a tortura e trattamenti inumani. Una deadline che, molto probabilmente, varcheremo dolosamente ancora una volta. Tre giorni prima, il 25 maggio,  avremo votato per le Europee. Sarebbe bello capire che l’Europa ci parla e ci chiama più volte e in diverse occasioni. Per votare un Parlamento, ma anche per smetterla di torturare i nostri detenuti. Per mettere una croce su di un foglio elettorale nel primo caso, per toglierla, la croce, dalle spalle dei nostri carcerati, nel secondo.

Italia – Serbia: non ci giochiamo l’Europeo, ma l’Europa. Le carceri italiane si confermano le più sovraffollate d’Europa, dopo la Serbia. A denunciarlo, ancora una volta, è il Consiglio d’Europa, l’organismo di Strasburgo che sovrintende alla difesa dei diritti umani e che ha da poco pubblicato il rapporto annuale sulle statistiche carcerarie riferito al 2012. In Italia ci sono 145,4 detenuti per 100 posti disponibili, contro una media di 98 su 100: è la situazione peggiore dell’Unione europea a 28 paesi, mentre fra i 47 paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa solo in Serbia il sovraffollamento è maggiore. Nelle carceri italiane nel 2011 si sono suicidate 63 persone. Il nostro paese è secondo solo alla Francia, mentre siamo il primo paese con il maggior numero di detenuti stranieri nelle carceri.

L’iniziativa radicale del 30 gennaio a Lucera, nel cui carcere è stato trovato il cadavere suicida di Alberico Di Noia.

L’iniziativa radicale del 30 gennaio a Lucera, nel cui carcere è stato trovato il cadavere suicida di Alberico Di Noia.

Fatti più là… sì, ma dove ? I numeri del collasso del sistema carcerario sono disarmanti. Secondo i dati ufficiali del DAP, al 31/03/14, i detenuti reclusi nelle carceri italiane sono oltre 61 mila a fronte di una capienza regolamentare di soli 48,309 posti. In questa tragica classifica la Puglia si colloca tra le prime regioni per sovraffollamento con 3.669 detenuti in 11 istituti che potrebbero ospitare massimo 2.431 detenuti. E Foggia si conferma degna provincia. Secondo l’Uilpa, nel 2013, su una capienza di 373 unità, i detenuti erano 570.  Nelle ultime 48 ore sono stati ben due i tentativi d’impiccagione, sventati solo grazie al pronto intervento del personale penitenziario. Circa un mese fa un detenuto rumeno di 22 anni, nel reparto ‘protetti omosessuali’, ha tentato anche lui il suicidio. A febbraio il Garante regionale dei detenuti,  Pietro Rossi, ha fatto visita al carcere constatando la mancanza di acqua calda lungo tutta un’ala del carcere. E San Severo e Lucera (dove a gennaio si è tolto la vita Alberico Di Noia, 38 anni, impiccatosi in una cella d’isolamento) , seppur in percentuali più ridotte, vivono lo stesso fenomeno di sovraffollamento.

Soluzione radicale. «Primo atto della prossima giunta dovrà essere quello d’ introdurre il garante comunale del detenuto – dichiara a lanotiziaweb il segretario dell’associazione Mariateresa Di Lascia, Norberto Guerriero per rendere effettiva la funzione di garanzia di tale figura e sanare le inefficienze fisiologiche del garante regionale. Noi radicali ci batteremo per portare in campagna elettorale e, più in generale, nel dibattito della città, tali tematiche sui diritti civili non fermandoci alla sterile protesta ma avanzando concrete proposte».

Da Papa a Papa,  passando per Pannella. L’appello di Wojtyla difronte alle Camere in seduta comune del 2002 e la chiamata di Francesco a Pannella dello scorso 25 aprile. Sono i due momenti più forti ed incisivi (e mediatici) sulla questione. Da Papa a Papa con, in mezzo, sempre l’anziano leader radicale. I capi della Chiesa e il capo degli anticlericali. La questione carceri unisce preti e mangiapreti, carità cattolica e diritti laici ritrovano l’antico sentiero comune. In mezzo, tra un Papa e l’altro,  c’è stato anche qualche tentativo di Stato (e, in verità, anche un altro Papa): indulti, sfolla carceri, implementazione delle misure alternative. 24 provvedimenti di amnistia e indulto dal 1948 ad oggi (secondo il rapporto dell’ottobre 2013 del Servizio Studi del Senato), però, non sono bastati. Ispezioni e denunce sono state fatte. A iosa. I numeri restano quelli. Irrimediabilmente vergognosi. Le condizioni pure. Irrimediabilmente schifose. La tabellina dei diritti, però, impone di mandarli a memoria, quei numeri. Un utile esercizio. Un esercizio che serve. Per ricordarci la condizione di tutti i ‘ristretti’. Per ricordarci che non tutti gli ammessi a misure alternative possono fare comizi e non tutti i condannati in via definitiva hanno in tasca un biglietto aereo per Beirut.

(Stefano Campese – tratto da www.lanotiziaweb.it)